Quando andavo alle medie, avevamo tutti almeno una citazione proveniente da Il Corvo scritta sulla smemo. Almeno quelli che nel frattempo avevano imparato a leggere e scrivere, ma questo è un altro discorso. Dicevo: tutta la classe aveva visto Il Corvo in tele, credo su Italia 1 (e a ripensarci ora chissà quanti tagli deve aver subito la pellicola per essere andata in prima o in seconda serata negli anni ’90). Di cosa parlasse il film, prima di vederlo, ma anche dopo, non ne sapevamo molto, ma Brandon Lee era morto sul set e la pellicola era diventata un mito prima ancora di uscire in sala. Andava visto.
Sono abbastanza sicuro che nessuno di noi ci avesse capito poi nulla, del film. Ma poco importa. Il Corvo era figo. E intendo quel significato di figo che figo ha avuto solo negli anni ’90. Oggi figo lo dici svogliato, “Ah, sì, figo”, tradotto mollami. Nei ’90 non c’era un oltre a figo. E se tutti gli adolescenti del mondo, gli unici che possano stabilire cosa sia figo e cosa no, avevano deciso che “Non può piovere per sempre” fosse una frase/manifesto, così doveva essere. Perché Il Corvo incarnava una certa estetica e un certo mood degli anni ’90 prima e meglio di qualunque altro. Al punto che anche un branco di pre-adolescenti in tuta di triacetato sarebbe riuscito a rendersene conto, sebbene a livello inconscio.
In realtà, Il Corvo figo lo era davvero. Se non il film, quantomeno il fumetto a cui si ispirava. Forse non bello, né ben fatto. Ma figo di sicuro. Questo l’ho scoperto dopo, però, insieme alla storia di James O’Barr, il suo autore. La vita dell’autore de Il Corvo cambia in una notte qualunque durante i suoi diciott’anni: la sua ragazza, mentre sta andando a trovarlo, viene travolta da un’auto e muore. James sbrocca. Si arruola nei marine, abusa di sostanze in Europa e nel mentre trasporta su carta la sua incapacità di comprendere ciò che è successo quella notte. Tornato a Detroid anni dopo riesce iniziare a pubblicare il suo lavoro, composto a piccoli pezzi in giro per il mondo. Il percorso sarà tortuoso, segnato da continui cambi di editori, e si concluderà solo nel 2011.
Lungo la strada però O’Barr lascia una storia che trasuda l’urgenza di essere raccontata, graffiata più che illustrata. Ingredienti che non si possono ricreare con troppo facilità. Per questo i diversi tentativi compiuti negli anni di sfruttare il successo de Il Corvo e traghettare parte della sua forza dirompente in altre storie scritte da altri con altri protagonisti non è mai riuscita fino in fondo. Nonostante tutto, però, lo spirito di vendetta incarnato da Il Corvo viene risvegliato spesso: Kitchen Sink Press prima, poi Image e infine IDW.
Oggi, sulla scia del reboot del film che uscirà nel 2019 con Jason Momoa nei panni del protagonista, IDW ha unito le forze Edizioni BD per dare alle stampe una nuova miniserie, Il Corvo: Memento Mori, realizzata da un team interamente italiano, composto di nomi noti anche nel panorama internazionale: Dell’Edera, Scalera, Recchioni, Niro e Dinisio.
Il cambio d’ambientazione pare aver giovato allo spirito della vendetta. La Roma in cui il Corvo spiega le sue ali immerge i suoi scorci più celebri in un buio temporalesco e li inzuppa in un’incessante pioggia battente. In questa oscurità persino le statue degli angeli incutono timore, mentre il nuovo ospite del Corvo, David, accompagna una tetra panoramica della città eterna con sinistre citazioni bibliche.
Se l’opera di O’Barr traeva almeno in parte la sua forza iconografica dalla contaminazione con la cultura pop dell’epoca, lo sceneggiatore di Memento Mori Recchioni sostituisce la rabbia con la tecnica. A partire da una sceneggiatura bene scandita, che parte sui tetti della capitale e si conclude tra i suoi vicoli, inframezzata da un flashback sulla morte di David, il protagonista. Pochi dettagli, quelli necessari a capire l’origine e il fine della sua vendetta: giovane chierichetto, David viene travolto insieme a un’altra manciata di persone durante una processione da un furgone lanciato sulla folla da una cellula terroristica islamica. La morte arriva lenta, lasciando a David il tempo di vedere il suo primo amore macerare nell’odio.
Senza la rabbiosa spinta di O’Barr, Il Corvo di Memento Mori lascia che sia il lettore ad investire nella storia un forte carico emotivo giocando sulle paure dell’occidente e sullo scontro di religioni. Con le sue ossessive citazioni bibliche e la convinzione di avere il dio cristiano dalla sua parte, il Corvo incarnato in David non è forse estremista tanto quanto i terroristi che gli hanno tolto la vita? E fino a dove si spingerà la sua ricerca di giustizia terrena?
Questo primo numero – e così saranno anche gli altri tre che chiuderanno la mini-serie, suppongo – si legge d’un fiato, senza cali di attenzioni. Il formato è quello del comic book americano, al netto però della dilagante decompressione odierna. Nella storia principale le matite di Werther Dell’Edera, più sintetico ed essenziale del solito dopo la panoramica d’apertura, traducono in immagini una regia spesso ispirata al manga moderno, mentre nei colori a tratti quasi piatti di Giovanna Niro dominano i toni freddi nei lunghi momenti di quiete, per poi esplodere d’improvviso di gialli ed arancioni quando si accende la violenza.
In appendice, conclude l’albo una storia breve scritta e disegnata da Matteo Scalera e colorata in un bel bianco e nero con inserti di giallo da Moreno Dinisio. Quattro tavole che evocano atmosfere alla Dark Souls , ma più scanzonate, che fanno da contraltare i toni più grevi della storia principale, prima di un ottimo editoriale di approfondimento firmato da Micol Beltramini e della sketch gallery di Dell’Edera.
Per quel che si può ricavare da questo primo numero, Il Corvo: Memento Mori ha tutte le carte in regola per convincere i lettori su entrambe le sponde dell’oceano ed affermarsi tra le migliori rielaborazioni del mito partorito da O’Barr nei ’90. Certo gli manca la crudezza, l’urgenza e quel senso di necessità che si avvertiva leggendo l’opera di O’Barr per essere figo come era figo Il Corvo negli anni ’90. Ma gli anni ’90 sono finiti da un pezzo, e forse è arrivato il momento di farcene una ragione.
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